biografie


ELISABETH KAISERIN VON ÖSTERREICH
SISSI
 

(Monaco, 1837 - Ginevra, 1898)

Più che dimenticata, Elisabetta è una poetessa sconosciuta al grande pubblico. Per suo volere l'ampio corpus delle sue composizioni poetiche ha potuto vedere la luce solo dopo il 1950 e la pubblicazione, avvenuta ancora più tardi (1981) non ha suscitato grande interesse. Infatti l'Elisabetta colta, poliglotta, studiosa di Heine, è soverchiata ancora adesso da Sissi ("la principessa Sissi" come viene chiamata oggi, incongruamente poichè non è mai stata principessa: all'età di sedici anni era già imperatrice). La donna più bella della sua epoca, con i capelli lunghi fino ai talloni, maniaca del proprio aspetto tanto che per mantenere snella la sua figura da ondina si faceva impacchi di alghe marine e si nutriva solo di succo di carne e gelati alla violetta... un gossip antico ma sempre molto gradito al pubblico. Inoltre l'immaginario collettivo è influenzato ancora adesso dai rugiadosi film anni cinquanta del ciclo "Sissi", interpretati da una giovanissima Romy Schneider che tratteggia un personaggio del tutto positivo di mogliettina innamorata e madre dolcissima. Si aggiunga a tutto questo la constatazione che le poesie di Elisabetta non hanno un grande valore poetico: ci si renderà conto del perché la sua opera sia subito caduta nel dimenticatoio. Eppure l'Imperatrice ci aveva creduto e ci si era impegnata con tutta se stessa.

La vita

L'origine di un destino di singolare infelicità fu il romantico e impetuoso innamoramento del giovane imperatore Francesco Giuseppe per la bella cuginetta Sissi non ancora sedicenne (1853): l'unico colpo di testa nella vita di quell'uomo posato, pieno di buon senso e ligio al dovere. Quel colpo di fulmine tanto celebrato dai contemporanei si tradusse in un disastro per tutti e due: lui ci guadagnò una moglie capricciosa, che non lo comprendeva e non gli era minimamente di sostegno: lei si avviò a una vita di donna perennemente insoddisfatta, errabonda e con il progredire degli anni decisamente eccentrica.
Un tempo (diciamo precedentemente al secondo conflitto mondiale) Elisabetta era considerata anche dagli storici accreditati poco meno che una martire, la vittima incolpevole di una costrizione al matrimonio e di un inserimento infelice in una corte che la odiava: ma i biografi più recenti si sono resi conto che, se essa fu realmente infelice e non trovò mai requie, lo dovette solo alla sua indole. Elisabetta "sprecò" doti naturali di tutto rispetto: era una donna intelligente, amante della cultura, di idee liberali e provvista di una forza interiore che si rifiutò quasi sempre di adoperare preferendo considerarsi una grande sventurata e fuggire, fuggire sempre dai doveri familiari e da quelli connessi con la sua alta posizione, finchè un giorno davanti alla sua figura di anziana indifesa si parò un giovane uomo malvestito ed esaltato, Luigi Lucheni.

La vita di Elisabetta è scandita in periodi precisi. Prima di essere notata e scelta da Francesco Giuseppe era soltanto la quartogenita (nata nel 1837) di nove figli compresi fra il 1831 e il 1849 dei quali uno, Guglielmo, morì in culla (1832). Nonostante l'imponente numero di rampolli, il padre, duca Massimiliano in Baviera (si noti la corretta dizione "in" che indica un ramo secondario della famiglia Wittelsbach) e la madre Ludovica, figlia ultimogenita del re Massimiliano I di Baviera, non andarono mai veramente d'accordo: lui la tradì per tutta la vita, lei soffrì sempre per essere stata l'unica fra tutte le sue sorelle a non fare un matrimonio regale.
Confusa com'era nel novero dei fratelli, nessuno diede importanza alla piccola Sissi finchè si arrivò a quel fatale 18 agosto 1853, compleanno di Francesco Giuseppe. In quella occasione si sarebbe dovuto festeggiare il fidanzamento del ventitreenne imperatore con Elena (Nené), sorella maggiore di Sissi. Il matrimonio era stato favorito dall'arciduchessa Sofia, madre di Francesco Giuseppe e sorella di Ludovica. Una donna notevole, che nel 1848, al momento della grande ondata rivoluzionaria che stava per spazzare via anche l'impero austriaco, aveva salvato il trono convincendo il cognato imperatore, l'epilettico e malandato Ferdinando, ad abdicare ed il proprio marito Francesco Carlo a rinunciare anche lui alla porpora imperiale in favore del loro figlio Francesco Giuseppe, diciottenne e quindi mondo da ogni colpa nei confronti dei sudditi. Fra parentesi, Sofia e Ludovica erano state in gioventù due donne bellissime, forse più affascinanti ancora, si sostiene, della tanto celebrata Sissi.
Il giovane imperatore si era detto perfettamente d'accordo con la scelta della madre, dato che era abituato a fidarsi del suo giudizio: ma quando accanto alla pur graziosa e gentile Elena vide la sorellina minore, cambiò idea e volle lei, a tutti i costi. Non gli importava che fosse troppo giovane, che non avesse completato gli studi e non conoscesse le lingue né l'etichetta di corte. Da parte sua Sissi, sebbene facesse un po' di storie (almeno non fosse imperatore! sospirava), fu certamente lusingata dall'impetuoso amore che le dimostrava il suo giovane cugino e per qualche anno coltivò l'illusione di esserne innamorata. Quel matrimonio la poneva su un piano altissimo: e se Elisabetta non era interessata alla vita di corte e di rappresentanza, non fu certamente mai insensibile ai privilegi che le dava il suo rango, primo fra tutti la possibilità di spendere, anzi di dilapidare somme enormi per il proprio capriccio.

Si sposarono il 24 aprile 1854. Seguirono tre figli nell'arco di quattro anni: Sofia (1855), destinata a morire di morbillo a ventiquattro mesi, Gisella (1856) e Rodolfo (1858) il futuro protagonista della tragedia di Mayerling. Ma dei due figli superstiti Sissi non si curò mai granchè, nonostante le sue lamentele nei confronti della suocera, che secondo lei glieli sottraeva. Partorito il maschio, l'imperatrice poco più che ventenne giudicò di aver compiuto il suo dovere verso la dinastia e si sottrasse abilmente, da allora in poi, ad una regolare vita coniugale. Cominciava così il secondo periodo della sua esistenza, quello dei viaggi: in realtà non fu solo un periodo perché Elisabetta viaggiò instancabilmente tutta la vita percorrendo l'Europa in lungo e in largo, da Madera all'Inghilterra, dalla Germania alla Grecia, all'Irlanda.
La giovanissima fidanzata e sposa non era stata ancora la bellezza famosa che divenne in seguito: l'Imperatrice sedicenne era solo una ragazzina fresca e graziosa, dalle guance piene. Negli anni successivi continuò a crescere e ad affinarsi e solo a partire dai vent'anni si trasformò in una donna, alta ed eterea, dal nobile portamento e dal viso incantevole, incorniciato dalle pesanti, foltissime trecce raccolte intorno alla testa come una corona.
L'indipendenza di questa nuova Sissi, sancita da viaggi che duravano mesi e mesi, partì da una sua grave malattia o supposta tale (ottobre 1860): il marito consentì che essa si mettesse in viaggio verso paesi più caldi dato che la credeva tubercolotica all'ultimo stadio. Niente di meno vero: Elisabetta non fingeva, le pareva davvero di star male ma la sua terribile tosse altro non era che un sintomo psicosomatico: lontano da Vienna la giovane donna principiava subito a stare meglio.
Da questo punto in poi Sissi si rese conto del suo potere sul marito e non ebbe più remore a fare a modo suo: non ascoltò più le critiche di nessuno, tantomeno quelle della zia-suocera Sofia, che del resto le voleva molto bene e si limitava ad esigere da lei un comportamento consono alla sua posizione. Dei figli continuava a non curarsi, lasciandoli di fatto nelle mani della stessa Sofia, per fortuna una nonna molto affettuosa.

E' di questi anni l'unico intervento politico dell'imperatrice. Fin da sposina, Elisabetta aveva manifestato la sua grande simpatia per la nazione ungherese: i maligni ci avevano voluto vedere un'opposizione alla suocera, che odiava profondamente gli ungheresi dopo la loro ribellione durante il biennio rivoluzionario, ribellione repressa sanguinosamente soltanto con l'aiuto della Russia. Comunque fosse nato, l'amore di Elisabetta per l'Ungheria durò tutta la vita e si concretizzò nel suo intelligente appoggio all'Ausgleich (Compromesso, 1867), cioè alla nascita di un impero non più solo austriaco ma austro-ungarico (è da allora che l'aquila absburgica prende le due teste), con le due nazioni alla pari e l'Ungheria dotata di una forte autonomia. Ciò rimetteva in sesto l'impero di Francesco Giuseppe, vacillante dopo la tremenda sconfitta subita ad opera dei Prussiani (1866) in quella che noi italiani chiamiamo "Terza guerra di indipendenza". L'incoronazione di Elisabetta a Regina d'Ungheria (8 giugno 1867) segnò non solo il suo trionfo politico ma anche quello della sua bellezza, come dimostrano i dipinti realizzati in tale occasione.
Subito dopo l'imperatrice uscì dalla politica anche se rimase filoungherese per tutta la vita: un nome che usava fra i suoi alias, quando correva l'Europa in incognito, era Erzsébet Kiralyné, "Elisabetta regina" in lingua magiara. Il suo romantico dono alla nazione amica fu la sua nuova gravidanza, fortemente voluta stavolta, perché la giovane regina desiderava consacrare il nuovo principe o principessa che fosse all'Ungheria. Nell'aprile 1868 nacque così, a Budapest, la sua ultima figlia, Maria Valeria, che, a differenza degli altri, fu profondamente amata dalla madre: "la sola persona al mondo per la quale l'imperatrice effettivamente si impegnò" come dice la sua più autorevole biografa, Brigitte Hamann. E non a caso i caustici viennesi soprannominarono la bambina proprio "l'unica".
Il periodo che seguì fu quello delle grandi cacce a cavallo: Elisabetta, considerata una delle migliori amazzoni d'Europa, partecipò a partite di caccia in Francia e soprattutto in Inghilterra e in Irlanda, correndo, a causa della sua spericolatezza, grandi rischi. Ma quando raggiunse i quarantacinque anni (1882), di punto in bianco l'Imperatrice smise questa sua pericolosa (e costosissima) attività: si è ipotizzato che il coraggio quasi leggendario fino allora dimostrato nel cavalcare la stesse abbandonando dato che i reumatismi cominciavano a renderla meno elastica ed agile.

Frattanto anche la sua famosa bellezza aveva subito un rude ridimensionamento, complice, oltre l'età, la vita all'aria aperta condotta durante tutti quegli anni di imprese sportive e di trekking giornaliero con il quale sfiniva le sue dame, costrette ad adeguarsi al suo passo di marcia. Il bel viso cominciava a coprirsi di rughe ad onta di tutte le cure: il corpo flessuoso, provato dalla dieta da anoressica che da sempre aveva seguito, si andava trasformando in quello spigoloso di una donna anziana. Era un duro colpo per una persona abituata ad essere osannata come un'ondina, una fata. Fu allora che venne da lei inalberato in pianta stabile il famoso ventaglio, che apriva con mossa fulminea davanti al viso non appena fossero in vista degli estranei.
E' di questo periodo la sua stagione poetica. Ma nel 1889, precisamente il 30 gennaio, la vita di Elisabetta si spezzò: l'Imperatrice visse ancora quasi dieci anni, è vero, ma cominciò da quel giorno il suo corteggiamento della morte. Fu quando suo figlio, il principe ereditario Rodolfo, compì uno degli atti di suicidio più famosi della storia, facendosi saltare le cervella dopo aver ucciso Mary Vetsera, l'esaltata ragazzina che aveva acconsentito a morire con lui.
Rodolfo, omicida e suicida. Elisabetta non si riprese mai dal colpo soprattutto per il terribile rimorso che non l'abbandonò più. Non aveva capito fino a che punto fosse arrivata l'infelicità di suo figlio, che in politica si vedeva emarginato per volere dell'onnipotente padre e nel privato si sentiva vittima di un matrimonio fallito. Elisabetta si rendeva conto di aver sempre minimizzato, di non aver dato retta a chi cercava di farle capire in quali condizioni si trovasse Rodolfo: in parole povere, di averlo ucciso anche lei con la sua indifferenza.


La baronessina Maria Vetsera

Sin: l'arciducessa Stefania, vedova del Principe Rodolfo.
Sopra: Elisabetta, loro figlia

Regalò alle figlie tutti i suoi gioielli e si vestì a lutto fino all'ultimo dei suoi giorni, risolvendosi ad indossare un abito chiaro soltanto il giorno delle nozze della sua amata figlia Maria Valeria con il cugino Francesco Salvatore di Toscana: matrimonio d'amore, da lei appoggiato. Continuò a correre da un capo all'altro dell'Europa e nell'estremo tentativo di trovare pace, si fece costruire la famosa villa "Achilleion" nell'isola di Corfù... ma non abitò che pochissimo quell'elefante bianco che aveva voluto a tutti i costi e nella edificazione del quale aveva dilapidato somme enormi.
Ormai viaggiava solo in incognito, con un piccolo seguito che spesso congedava. E fu così che il 10 settembre 1898 la morte tanto corteggiata e invocata la raggiunse, a Ginevra, per mano di Luigi Lucheni, un giovane anarchico italiano che aspirava ad assassinare una testa coronata, di chiunque si trattasse... e che aveva letto su un giornale la notizia della presenza in città dell'Imperatrice d'Austria.
La morte fu rapida, pietosa, silenziosa. Elisabetta non si accorse di niente: credette che Lucheni l'avesse solo urtata, mentre in realtà la lima affilata dall'assassino come un pugnale l'aveva colpita al cuore, provocando una lenta emorragia interna. Dal battello, al quale era arrivata camminando con le sue gambe, accasciandosi subito dopo, la riportarono all'Hotel in cui aveva soggiornato. Nel giro di una mezz'ora, tutto era finito, senza sofferenze.

L'opera poetica

Sissi cominciò da ragazzina a scrivere poesie romantiche e tristi. Fidanzata ad un Imperatore, non trovava niente di meglio che invocare:


Oh rondine, dammi le tue veloci ali
E portami con te verso paesi lontani.
Sarò felice di spezzare le catene che mi stringono
E di infrangere le sbarre della mia prigione...
Se potessi volare con te
Attraverso l'azzurra eternità dei cieli
Come renderei grazie con tutto il mio essere
Alla Dea che gli uomini chiamano libertà!

...e da sposina, non si dimostrò più allegra:


Mai avessi lasciato la strada
Che mi avrebbe condotta alla libertà:
Mai mi fossi perduta
Imboccando la via della vanagloria.
Mi sono destata in un carcere
Con le braccia avvinte da penose catene.
Più mi struggo nel desiderio di te
Più tu, libertà, mi abbandoni...

La giovinetta ignorantella si trasformò presto in una donna non banale che, pur non smettendo di lamentarsi del suo destino, apparve interessata alla cultura. Parlava inglese e francese e coltivò tanto la lingua ungherese da padroneggiarla in breve tempo: e si tratta di un idioma difficilissimo (una lingua del gruppo ugro-finnico non facente parte delle lingue indoeuropee). Negli ultimi anni Elisabetta, pazza per i poemi omerici e convinta di poter comunicare spiritualmente con l'eroe Achille, studiò anche il greco antico e moderno.
La passione della sua vita, comunque, fu quella per il grande poeta Heinrich Heine. Heine morì a cinquantanove anni, quando lei ne aveva diciannove (1856), quindi avrebbero anche potuto conoscersi: in realtà non si incontrarono mai. Ma Elisabetta sosteneva che spesso l'anima del morto poeta veniva nella notte a congiungersi alla sua e le dettava dei versi... Lo studio appassionato di Heine rese l'imperatrice una grande esperta della sua opera, al punto che gli studiosi le si rivolgevano per delle vere e proprie perizie e lei non sbagliava mai: sapeva riconoscere l'autenticità di un carme con assoluta sicurezza.

Il periodo più fecondo della creatività di Elisabetta andò dal 1884 al 1889. Nel 1884 aveva incontrato un'altra regina che, come poetessa, era molto famosa: la sua omonima Elisabetta di Romania, nata principessa tedesca di Wied (1843-1916), il cui nom de plume era l'evocativo Carmen Sylva. Benchè più giovane di lei, la regina di Romania sembrava sua nonna, precocemente invecchiata com'era e con la chioma candida: ma le due donne si intesero perfettamente divenendo grandi amiche. Ciò, sommato al culto per Heine, aumentò l'interesse di Sissi per la composizione poetica.
Composto un rispettabile corpus di poesie diviso in due parti: "I canti del mare del Nord" (Nordsee Lieder) e i "Canti d'inverno" (Winter Lieder), l'Imperatrice avrebbe gradito pubblicarlo ma si accorse subito di non poterlo fare: quelle poesie scottavano, come diremmo noi oggi. Tuttavia, non volendo rinunciare al suo sogno di farle conoscere, ricorse a un espediente. Fece ricopiare da due sue parenti l'originale del suo corpus poetico e solo così si fidò a far stampare le copie ottenute in una tipografia: non voleva infatti che qualcuno, per avventura, riconoscesse la calligrafia dell'Imperatrice. Ciò fatto, affidò poi diversi plichi (non si sa precisamente quanti) ad altrettanti suoi amici fedeli con l'ingiunzione di far pervenire la sua opera al presidente della Confederazione Elvetica nell'anno 1950.
Venne il 1889, portando il tragico suicidio di Rodolfo: da allora l'imperatrice non scrisse più un verso ma non rinunciò alle sue ambizioni poetiche:


Cara anima del futuro! Ti affido questi scritti. Il grande maestro che li ha ispirati mi ha suggerito anche cosa farne: potranno essere pubblicati solo quando saranno trascorsi sessant'anni a partire dal 1890 e i proventi dovranno essere impiegati per aiutare i perseguitati politici e i loro familiari bisognosi. Anche fra sessant'anni la felicità e la pace ovvero la libertà continueranno infatti a non essere di casa su questo nostro piccolo pianeta così come non lo sono state ai miei tempi. Forse lo saranno un giorno in un mondo diverso. Oggi non sono in grado di dirlo, forse però quando leggerai queste righe... Un saluto di cuore. Ti sento vicino.
Titania
scritto nel'estate 1890 mentre il treno fischia e corre veloce
(premessa al "Diario poetico")

Titania era la regina delle fate, con la quale si era da sempre identificata. Questa dedica, o preghiera che dir si voglia, fu inserita nei plichi con la speranza che almeno qualcuno di essi riuscisse a superare la barriera dei sessant'anni posta dall'autrice: e infatti così avvenne.
Il tempo passò. Tutte le persone più vicine a Elisabetta morirono: Francesco Giuseppe (1916), Maria Valeria (1924), Gisella (1932) la nuora Stefania (1945). La monarchia austro-ungarica era crollata nel 1918, creando una piccolissima Austria e un'Ungheria indipendente. Avvenimenti tragici quali mai Elisabetta, pur nel suo amaro disincanto, avrebbe potuto prevedere, sconvolsero il mondo. Alcuni di quei plichi si persero ma due si salvarono: quello affidato al fratello Carlo Teodoro, da lui trasmesso a un figlio, e da quello nelle mani dei principi del Liechtenstein. Fu così che nel 1953 il presidente elvetico Philip Etter ebbe nelle mani l'eredità poetica di Elisabetta. Non ne fu molto lusingato, anzi fu piuttosto imbarazzato. Fu soltanto nel 1981, dopo un lungo scambio di vedute fra Svizzera e Austria, che l'Accademia austriaca delle Scienze pubblicò integralmente l'opera. Per rispettare la volontà dell'autrice, si decise che gli eventuali proventi sarebbero stati devoluti al Fondo di Soccorso dell'ONU per i rifugiati politici.
Perché Sissi ricorse a uno stratagemma così complicato? Facile capirlo: pur eccentrica e sprezzante delle convenzioni com'era, si rendeva perfettamente conto che quella pubblicazione avrebbe creato, all'epoca sua, uno scandalo troppo grave. L'Imperatrice irrideva infatti nei suoi carmi la corte di Vienna con un sarcasmo feroce, dileggiandone i membri, insieme a quelli dell'alta aristocrazia: prendeva in giro anche le famiglie reali di altri Paesi, arrivando per esempio a descrivere come avesse stuzzicato e poi deluso il futuro Edoardo VII d'Inghilterra, noto donnaiolo che le faceva delle avances: e così via. Nemmeno Francesco Giuseppe si salvava del tutto dal suo ironico disprezzo.
Ma c'era anche un motivo più importante che le sconsigliava una pubblicazione immediata. Dalla lettura dei suoi carmi l'Imperatrice di un paese fortemente cattolico e militarista appariva di idee repubblicane (definiva la monarchia "il costoso ornamento che grava sulle spalle del suo paese"), religiosa soltanto a modo suo (credeva in uno spietato "Grande Geova") e per di più anticlericale, inoltre si dichiarava anche convinta pacifista.

Dal punto di vista letterario, il canzoniere di Sissi non ha un gran valore. L'Imperatrice si diceva discepola di Heine, ma rimaneva una dilettante velleitaria. Il grande poeta scrisse alcuni dei versi più delicati e sognanti della letteratura tedesca: il romanticismo di Sissi fu sempre di maniera. Heine affrontò anche e soprattutto i temi più impegnativi della sua epoca, politica compresa, con una forte vena ironica e satirica: Elisabetta riusciva solo ad essere duramente sarcastica. Qualche saggio dell'opera, che ora segue, renderà conto di questo giudizio.
Alcune poesie di Sissi sono soltanto romantiche e descrittive di stati d'animo ispirati dalla natura,a base, quindi, di boschi selvaggi e pallidi raggi di luna. L'imperatrice si paragonò sempre al gabbiano, simbolo di libertà:


Un gabbiano di Nessundove io sono
Nessun lido considero mia patria
Nessun luogo, nessun posto a sé mi lega: ...
Oggi sfioro con le ali la spuma del mare del Nord
Le sue onde mi cullano e mi fanno sognare...
... ora vedo le rovine del castello
Avvolte da un velo luminoso d'argento
Intessuto da fastosi raggi che la luna di maggio
Attraverso le porte della sala diffonde...

Dai Canti del mare del Nord (n° 7)

Ma vediamo invece come l'autrice esplica la sua vena satirica e sarcastica. La metafora che segue, per esempio, è molto crudele. L'imperatrice, in vacanza a Bad Ischl con Francesco Giuseppe, tramuta così una visita della nuora Stefania:


Ai piedi di un abete maestoso
Sul morbido muschio gioisce
Di essere solo in mezzo al bosco
Un profumato ciclamino d'autunno.
Ma non dura a lungo la sua gioia:
Ecco che fuori dall'erba del prato
Sbuca un rospo giallo e grosso
Che gli va a finire addosso.
Anche se ci è rimasto solo per poco
Ha schiacciato per bene la piantina:
Povero fiore! Quasi maciullato
Se ne sta ora tutto piegato...

Dai Canti del mare del Nord (Visita)

Anche se la tragedia di Mayerling era di là da venire, con il suo strascico di pesanti responsabilità attribuite a Stefania, la principessa del Belgio che aveva sposato Rodolfo, Elisabetta odiava già la nuora: la trovava una spilungona brutta e presuntuosa, in una parola insopportabile. Stefania, (detta anche "il cammello") torna come bersaglio di Sissi in altre composizioni, ma non è la sola. Praticamente tutti i parenti viennesi cadono sotto la sferza dell'Imperatrice: e non solo loro. Ecco la descrizione della famiglia imperiale russa, incontrata a Kremsier (oggi Kromeriz, nella Repubblica Ceca) nell'agosto 1885: era stata, questa, una delle poche occasioni in cui Elisabetta si era degnata di presenziare a una visita di stato.


... un babuino, il sovrano, troneggia maestoso
In abito straniero, austero e serioso
La scimmia piccola al suo fianco, la consorte
Leziosa fa la riverenza alla gente strepitante.
I figli, due scimmiette ben riuscite come il padre
Si presentano perfino in divisa militare.
Un intero esercito di scimmie decorate
Si dà da fare a ghignare e schiamazzare...
Qualche somaro diplomatico completa infine la masnada...

Dai Canti del mare del Nord (Kremsier)

Basti dire che il babuino è lo zar Alessandro III (1845-1894), la scimmia piccola l'Imperatrice Maria (1847-1928), le scimmiette ben riuscite il futuro zar Nicola II (1868-1918) ed il fratello Giorgio (1871-1899). La lente deformante dell'odio provato da Sissi mette in caricatura quella che in realtà era una famiglia di persone molto gradevoli all'aspetto: lo zar era un uomo atletico e piacente, la zarina, proveniente dalla famiglia reale danese, una donna minuta ed estremamente chic, i figli due adolescenti di bella presenza.
Su un piano più personale, Elisabetta completa così una sua lunga poesia dedicata a una serie di uomini che l'hanno ammirata e desiderata: essi formano una collezione di pelli d'asino complete di teste e appese a un muro. L'autrice si diverte a passarle in rivista e conclude:


L'ultimo è appeso un poco più in là:
Costui infatti pur piccolo e minuto
Per me è stato la croce più tremenda.
Era un somarello purosangue:
Molto cocciuto e caparbio
E anche se era dai modi molti fini
Di lui non c'era da fidarsi.

Dai Canti del mare del Nord (La bella collezione)

Si tratta, ovviamente, del marito Imperatore. La perfidia di Elisabetta è raffinata: rinfaccia al marito, oltre i difetti del carattere, anche di essere un ometto di modesta statura. Infatti Francesco Giuseppe che pure era considerato un bell'uomo, non eccelleva per altezza. I fotografi di corte giungevano a ritoccare le foto dei due imperiali coniugi insieme perché non si vedesse che lei era alta quanto lui.
L'imperatore, sotto il nome di Oberon, il re delle fate compagno di Titania, torna ancora in questi brevi versi in cui l'autrice palesa, in forma molto elegante (non per nulla la metafora dei cardi e delle castagne è mutuata da Heine), la sua stizza per il legame che il marito ha stretto con l'attrice Katharina Schratt (1853-1940), da lei considerata una donnetta grassa e volgaruccia. Al medesimo tempo tuttavia Elisabetta si rende conto che una relazione del genere è necessaria al marito per uscire da una solitudine in cui lei stessa, con le sue inadempienze di moglie, l'ha confinato:


Quello che Oberon combina a Titania non importa.
Il suo principio è: non mettiamoci a disagio.
Se di cardi e di castagne uno si accontenta
Sarà lei stessa a volerglieli servire.

Dai Canti d'inverno

Kaiserin Elisabeth,
Das poetische Tagebuch,
Wien, Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, 1995
Elisabetta d'Austria,
Diario poetico,
Trieste
, MGS PRESS, 1998


Credits

La Redazione ringrazia Carlo Giovanella (Direttore Editoriale, MGS PRESS S.a.s., Via Sara Davis 101, 34135 Trieste) che ha consentito alla parziale riproduzione delle liriche, tratte dal volume
"Diario poetico di Elisabetta d'Austria" pubblicato nel 1998 (traduzione di Hans Kitzmueller). I diritti di autore di questo testo sono stati devoluti dalla Casa Editrice ad Amnesty International, rispettando così la volontà espressa da Sissi all'"Anima del futuro" nel 1890.

©
Testo: Alina di Collefiorito
© Fotografie: Fondo di Ricerca Storiografica Brandolini-Morgagni - Archivio Fotografico e Alina di Collefiorito
© Liriche: MGS PRESS

Sissi nel 1854

Sissi nel 1856

Il Kaiser Francesco Giuseppe I
(1830-1916)


Il duca Massimiliano Giuseppe
in Baviera (1808-1888)


Ludovica Luisa di Baviera
(1808-1892)


Sofia di Baviera, arciduchessa
d'Austria (1805-1872)


L'arciduchessa Gisella
(1856-1932)


Il principe ereditario Rodolfo
(1858-1889)


L'arciduchessa Maria Valeria
(1868-1924)
.


Sissi ritratta da Rausch
nel 1858


Sissi ritratta da Winterhalter
nel 1865

Sissi ritratta da Winterhalter
sempre nel 1865


Sissi ritratta da Raab

nelle vesti di Regina d'Ungheria
(1867)

La famiglia imperiale a Gödollo.
Da sin: il principe ereditario Rodolfo, l'Imperatore, l'Imperatrice, le figlie Maria Valeria e Gisella (ca. 1869)
.


Il principe ereditario
Rodolfo d'Absburgo

Il principe ereditario
Rodolfo d'Absburgo
nel suo ultimo ritratto

Sissi si nasconde dietro il ventaglio all'arrivo del fotografo

L'Imperatore Francesco Giuseppe
e l'Imperatrice Elisabetta
a passeggio a Bad Kissingen
nel 1890


Sissi in lutto (1892)


Sissi sul letto di morte (1921). Immagine tratta da un film muto del 1921 diretto dal regista Rolf Raffé. La dama accanto al letto vuole essere la contessa Irma Sztaray, che le era accanto quando l'Imperatrice fu pugnalata. Tale immagine
viene spesso data per vera.


Il monumento di Kaiserin Elisabeth eretto a Vienna nel 1907


Heinrich Heine (1797-1856)
nel ritratto di
Amalia Keller (1842)



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