letteratura per ragazzi


LUIGI MOTTA
(11 luglio 1881 -
18 dicembre 1955)


Nasce a Bussolengo (VR) l'11 luglio 1881 da Filippo e Giuseppina Anichini; nel 1891 la famiglia si trasferisce a Verona per permettere al figlio di frequentare scuole regolari; infine viene messo in collegio presso i Padri Stimatini, dove ottiene la licenza. Nel 1897 si iscrive all'Istituto Nautico di Genova, pensando di emulare le gesta del suo idolo, Emilio Salgari, il quale nel frattempo era venuto ad abitare non lontano, nel quartiere Sampierdarena. Nel 1901 pubblica il suo primo testo, I flagellatori dell'Oceano, dedicato al grande scrittore, che in virtù del fatto d'essere compaesani gli firma la presentazione e lo elogia. L'editore Speirani di Torino, che stava cercando di rimpiazzare Salgari in qualche modo, gli fa un contratto e tra il 1903 e il 1904 gli pubblica quattro titoli; più o meno contemporaneamente, Motta ne pubblica ben sei con l'editore Celli di Milano.
La critica oggi è concorde nell'asserire che i testi di Motta sono una mera brutta copia di quelli salgariani, ma all'epoca le cose erano percepite diversamente. Motta stesso ha l'intuizione che le novità portate dal progresso non dovevano venire sottovalutate, e anzi ogni innovazione fantastica avrebbe attirato i lettori. Egli si pone tra J. Verne ed E.A. Poe e dichiara di "voler dare un taglio scientifico al romanzo d'avventura", vale a dire intende scrivere romanzi di fantascienza, termine che non è ancora stato inventato.
Nel 1908 finalmente viene cooptato dalla casa editrice dei Fratelli Treves, e da qui inizia la sua produzione più feconda, quella che in definitiva gli darà la notorietà. La casa editrice fa illustrare i suoi testi nientemeno che da Giuseppe Amato, uno dei migliori illustratori salgariani. Sono una dozzina i titoli pubblicati nei primi dieci anni di collaborazione, ed inoltre la Treves pubblica anche sul Secolo XX molti titoli in appendice. Nel 1920 Treves tuttavia non gli rinnova il contratto, e Motta passa con il fiorentino Bemporad, il quale stava ristampando tutto ciò che poteva a firma Salgari, dato che questa tirava le vendite in maniera esponenziale. Erano indubbiamente i tempi in cui il romanzo d'avventura, meglio se esotica, attirava il pubblico. Bemporad addirittura gli dedica una collana "Opere di Luigi Motta".

Non solo, ma iniziano ad apparire titoli a doppia firma, Salgari-Motta. Non è facile sbrogliare la matassa dei titoli cambiati, dei manoscritti rimaneggiati, dei testi salgariani scopiazzati, degli appunti lasciati da Salgari ai figli che cercano di cavarne quanto più possibile affidandosi ai ghost-writers. Essendosi inoltre esaurita la vena - se mai ci fu stata - dello stesso Motta, questi addirittura riprende in mano i propri testi variandone titolo e personaggi. Negli Anni Trenta collabora a diversi giornali per ragazzi, tra cui Il Corriere dei Piccoli e L'Avventuroso, almeno fin quando il Regime non vieta l'importazione dei fumetti americani.

Comunque sia, non fa certo la fame come Salgari, anzi: può acquistare una bella proprietà sul lago di Garda, dove si ritira a scrivere; tuttavia gli anni passano, il gusto dei lettori cambia, dopo la Seconda Guerra Mondiale cambia tutto. Motta cade nel dimenticatoio, dal quale tenta di sollevarsi nel 1951, ancora una volta pubblicando un libro a doppia firma Salgari-Motta, la sua ottantesima opera: Sandokan, Rajah della jungla nera, ma nessuno più gli crede (l'avevano mai creduto?). Muore a Milano il 18 dicembre 1955, assistito dalla moglie e dall'amico Emilio Firpo, colui con il quale, insieme con Emilio Salgari, aveva stretto amicizia fin dal lontano 1898, e con il quale aveva dato alle scene delle opere teatrali in musica con un certo successo, tanto che Emilio Salgari ebbe il tempo di congratularsene.

Iniziato con l'ammirazione del più giovane verso il più anziano, presto divenuta amicizia, il rapporto di Luigi Motta con Emilio Salgari è assai controverso, dato che il rapporto "fisico" tra i due si interrompe a forza con la morte di quest'ultimo, e ciò che rimane è il rapporto della mente, vale a dire l'opera dell'uno rispetto a quella dell'altro. E' innegabile che Motta abbia sofferto di complessi di inferiorità, volendo emulare uno scrittore geniale avendo a sua disposizione poca genialità. Qualche critico gli riconosce una certa vena indipendente quando si tratti di fantascienza, tuttavia non bastante a farne un nome nella storia della letteratura del XX secolo.


Uno dei tanti titoli a doppia firma
Luigi Motta ed Emilio Salgari,
Addio Mompracem!,
Sonzogno, 1929,
cover di Fabio Fabbi
Dal catalogo Bemporad 1935
(courtesy Tesori di carta, Bologna)




Credits:
Felice Pozzo per Rocambole
n° 21, 2002

©www.letteraturadimenticata.it, novembre 2009


Luigi Motta

Nel 1906 sposa Bianca Polzi, e
in seconde nozze Amelia Razza;
da nessuna ebbe figli.



Luigi Motta,
I flagellatori dell'Oceano,
Soc. Ed. Italica, 1923
Ill. di G. D'Amato

Il gusto de pubblico per i romanzi d'avventura risale alla seconda metà Ottocento, dove un nome brilla incontrastato, quello di Giulio Verne, il quale inaugura un genere tutto suo, quello dell'avventura fantascientifica, e dove fiorisce tutta una generazione di scrittori che fanno dell'ambiente esotico il loro unico topos.
Joseph Conrad scrive il suo primo racconto, Almayer's Folly, nel 1890 e lo ambienta al Borneo: Conrad vive per molto tempo in Malesia, nelle isole del Pacifico e del Sudamerica. Rudyard Kiping, nato a Bombay, vive in India e lì ambienta i suoi famosissimi racconti, detti appunto "libri della jungla". Jack London, californiano di San Francisco, viaggia dappertutto nel nordamerica, fino in Alaska dove partecipa alla corsa all'oro, e può a buon diritto descrivere questi luoghi nel suoi libri. Il più prolifico di tutti, Fenimore Cooper, il narratore della frontiera, vive la giovinezza nelle praterie del nordamerica e passa tre anni in Marina, per non parlare di R. L. Stevenson, che si trasferisce a vivere in un'isola del Pacifico (ma l'aveva già fatto Paul Gauguin...).
Salgari e Motta si trovano dunque a scrivere in un periodo storico dove impera letteralmente il gusto dell'esotico e dell'avventura allo stato puro. In Italia non v'è altro narratore che si sia cimentato su questa strada,
anche se - a differenza degli autori su citati - entrambi non si sono mai mossi da casa. Hanno avuto coraggio. La differenza sostanziale tra i due, tuttavia, è che Salgari non solo si documenta molto accuratamente in biblioteca, ma gode anche di una genuina vena ispiratrice, mentre Motta, la cui prosa è tanto piatta da rasentare la sciatteria, non fa il minimo sforzo per rendersi edotto, ma si limita a "copiare".

E.M.